Einaudi 2020
Autrice: Donatella Di Pierantonio
Nasce e vive in Abruzzo dove fa la dentista pediatrica.
Ha esordito nel 2011 con “ Mia madre è un fiume”.
Seguono nel 2014 “Bella mia” e nel 2017 con “ L’ arminuta” con cui vince il premio “Campiello”.
Recensione di Elisabetta Robbiano
Dopo aver letto l’Arminuta ho voluto subito dare seguito alla bella storia narrata e ho comprato Borgo Sud. Mi sono piaciuti entrambi i libri ma spesso mi succede che i secondi mi deludano, e Borgo Sud non ha fatto eccezione.
Borgo Sud è un libro che merita di essere letto, ma mi ha appassionato meno del primo, ed è un romanzo che non sta in piedi senza il primo.
L’Arminuta è un libro coerente nello sviluppo della storia. Borgo Sud, al contrario, mi sembra un po’ “tirato”. Oltre ad essere molto faticoso da leggere per i continui sbalzi nel tempo, che non amo.
La storia delle due sorelle e del loro profondo legame nonostante le differenze è intensa, ricca. Gli affetti sono ben delineati, nel corso della vita narrata si consolidano e diventano forti, assoluti, seppur contraddittori e faticosi. Le 2 sorelle non si lasceranno mai, e vivono, da adulte, momenti profondi, chiacchierano, ridono, rivivono l’intimità cui erano state più o meno abituate, o costrette, da ragazzine.
Il passato più recente della protagonista, il suo matrimonio fallito, fa solo da sfondo, tra l’altro “politicamente corretto”, ma il focus narrativo è altro.
Ma … qualcosa mi sfugge… Forse il mio “sentire” è influenzato dalla mia ex professione, ma ho colto qualche contraddizione che non riesco… a trattenere.
Come è possibile che la protagonista, l’Arminuta, che ha vissuto i suoi primi 13 anni di vita in un’altra famiglia, con la mamma affidataria Adalgisa, da adulta non abbia più alcun ricordo, rimpianto, dolore per quella vita precedente? Possibile che i soli affetti ricordati, nel bene e nel male, siano riferiti esclusivamente alla sua “nuova” famiglia (in realtà la “sua” famiglia di origine)? Possibile che i 13 anni della sua prima infanzia siano del tutto cancellati e MAI citati nel secondo libro Borgo Sud?
In Arminuta la 13 enne protagonista in qualche modo si adatta, le sue reazioni sono composte, è apparentemente docile… Ma certamente l’improvviso trasferimento e le condizioni estremamente disagiate della sua nuova vita non possono non lasciare traumi.
Che in Borgo Sud non esistono. Neppure citati. E anche una visita alla vecchia casa dell’infanzia è raccontata senza emozioni.
E’ un parere personale, forse “di corto respiro”, ma mi sembra contraddittorio costruire personaggi con storie complesse di cui poi non si è capaci di raccontare le conseguenze emotive, i vissuti…
Basterebbero anche solo brevi cenni, giusto per un po’ di coerenza rispetto l’umanità che si narra.
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Recensione di Maria Clotilde Carbone
“che famiglia siamo noi? “
Borgo Sud è il quartiere di Pescara dove vive la famiglia di Adriana e della sorella, l’ io narrante.
Tra le due sorelle il legame è sempre forte ma conflittuale: hanno alle spalle esperienze opposte di crescita. Motivo conduttore del racconto sembra il ricordo delle loro “battaglie”.
Adriana trova cambiato tutto quello che vedono quando, di rado, vanno dai genitori: la strada e la casa fanno sentire che il tempo è passato sulle cose, ma a loro la vita propone sempre occasioni di dolore.
Adriana è irrequieta, inquieta, come fosse orfana, senza famiglia, mentre la sorella nasconde la stessa carenza con una presunta /falsa normalità: gli studi classici la hanno portata a una vita razionale e più tranquilla.
Adriana ha un amore appassionato per Raphael, il pescatore che col suo fisico fa venire in mente il David di Michelangelo, e che la fa sentire desiderata. E con lui ha fatto un bambino , Vincenzo. Adriana si deve sentire sempre Libera.
I genitori vivono a 50 km ma non si interessano mai della loro vita, alla quale non devono contribuire economicamente. Sono come abbandonate a se stesse, sole nel mondo, solo sorelle. La madre, sempre indifferente e in silenzio, dimostra poco l’affetto per le figlie. E ad Adriana arriva persino a lanciare con triste e teatrale gesto una maledizione.
Nei confronti di Piero, il marito della sorella, la madre lungimirante mette il dito nella piaga della differenza sociale, e fa una pesante profezia sul futuro di sua figlia.
Nella scrittura scabra, compaiono spesso espressioni dialettali, di lingua parlata, di una cultura primitiva e superstiziosa che rendono il testo vivace ed attraente.
Rispetto alle pagine dedicate alla sorella Adriana, il centro del romanzo al cap 11 con l’invito del professore universitario Morelli sembra segnare un cambiamento di passo: è meno originale, e propone un contenuto un po’ “televisivo”. Fa vedere che la cultura col suo ritmo è sempre ordinata, rispettosa delle forme, ma un po’ fredda è la realtà della sua vita. La sequenza prepara alla rivelazione nel cap 12 del fallimento del rapporto con Piero, che è medico in carriera, ma tradisce sua moglie in modo inaspettato, perché non poteva amarla, “non era quello che ti credevi quando vi siete sposati”. Il suo essere gay può sembrare una caduta, un clichè per compiacere le aspettative del pubblico di oggi, ma la caduta non tocca a mio avviso lo stile nè l’impianto narrativo, caratteristica del romanzo.
A Borgo Sud convivono due mondi incompatibilmente lontani: quello ordinato e consapevole della cultura, della scuola e del benessere borghese e quello libero e scandaloso, ma attraente e sincero di Rafel e Adriana che “volevano vivere senza altri padroni che il vento”. La cultura è sempre riscatto sociale, ma qui le due protagoniste del libro, figlie di nessuna madre, scappate di casa, “ che da lei hanno ereditato parole non dette, gesti omessi, cure negate”, hanno sempre sofferenza.
Il romanzo ci propone la vita dura, i rapporti difficili, il dolore imprevedibile e inevitabile in questa provincia d’ Abruzzo, un po’ primitiva, con retaggi antichi che non si riescono a rimuovere neanche con l’evoluzione culturale.
In questo viaggio della memoria gli incontri, le malattie, gli incidenti , l’esperienza dell’ ospedale sono sparsi brandelli di vita spericolata: nel ricordo l’affetto e l’emozione si trasmettono a noi lettori.
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Recensione di Chiara Sarasini
I romanzi di Donatella Di Pietrantonio sono sempre molto legati alla sua terra d’origine, l’Abruzzo. Qui ritroviamo, vent’anni dopo, le due sorelle protagoniste del libro precedente: l’Arminuta, io narrante, e la sorella di tre anni più piccola, Adriana.
Il libro inizia con una festa, scompigliata da un’improvvisa grandinata. Il lettore ha subito l’impatto con lo stile incisivo dell’autrice che riesce a far vedere ciò di cui parla, anche i sentimenti.
In meno di due pagine scopriamo un chicco di grandine che colpisce il bicchiere del festeggiato, Piero, la sua corona di alloro da neo laureato, la sua pelle splendente sotto la pioggia e, soprattutto, la felicità sua e della sua fidanzata, la protagonista io narrante. Una fotografia li mostra così, persi l’uno negli occhi dell’altra. Al bordo di quella foto, quasi di striscio con la massa di capelli in movimento, c’è anche la sorella di lei, Adriana, che “non è mai stata discreta, si è intromessa in tutto quello che mi riguardava come fosse anche suo” pg. 6 . E a quella festa bagnata c’è anche un segno nefasto, la caduta di un pezzo di grondaia che ferisce lo zigomo della protagonista e sporca il vestito bianco, quasi fosse una prova dell’imminente abito da sposa, con qualche goccia di sangue.
La sorellanza, l’amore, il fato avverso che preannuncia dolore. Sono alcuni degli elementi presenti nell’intero romanzo. La scrittura mescola strettamente i tempi narrativi. C’è un tempo presente che vede la protagonista, ormai da tempo trasferita in Francia, tornare nella sua terra d’origine ed in particolare a Pescara, dove sua sorella Adriana vive nel quartiere dei pescatori, il Borgo Sud del titolo. C’è poi un tempo passato, il tempo di ciò che è stato e non si può cambiare, che la protagonista rivive ed il lettore ricostruisce con lei.
La capacità di scrivere con incisività e visualizzazione si ritrova in tutte le pagine, è un segno che caratterizza lo stile e aggancia il lettore. Viene invece meno, qua e là, la capacità di mantenere uno sguardo sincero sulle vicende narrate. Sembrano troppo costruite, ad esempio, le pagine dedicate all’incontro della coppia con il professore universitario con cui la protagonista lavora, così come le pagine che descrivono la crisi e la ricerca di identità di Piero. Il precedente libro “L’Arminuta” non ha queste cadute, fila forte e potente per la sua strada.
Nella vicenda drammatica della sorella Adriana, possiamo rintracciare un avvicinamento alle tematiche relative alla violenza nei rapporti di coppia, ma tutto è tenuto sotto traccia. Il finale aperto potrebbe però dare spazio a futuri sviluppi narrativi, verso un’età più consapevole. L’Arminuta protagonista di un ciclo?
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Recensione di Giuseppina Filippi
Anche Pescara ha la sua “Via del Campo” ed è Borgo Sud, il suo quartiere marinaro, quasi un mondo a parte, accogliente e omertoso. Lì vive Adriana, irrequieta e selvatica sorella dell’Arminuta, l’”orfana di due famiglie”, protagonista del precedente romanzo dell’autrice, di cui Borgo Sud è la continuazione.
Ci si chiede però quanto questa continuazione fosse necessaria. Perché non è sufficiente spostare il tema dalla perdita dei legami familiari alla complice sorellanza, per ottenere lo stesso impatto narrativo. Forse i tre piani temporali sono eccessivi per la tenuta della narrazione o forse i personaggi hanno perso il loro spessore. Ha una sua compiutezza il legame tra le sorelle, che è il filo di raccordo di tutto il romanzo, ma il resto è piuttosto inconsistente.
Anche il quartiere di Borgo Sud perde il confronto con il mondo contadino così ben dipinto nell’Arminuta. Non ha avuto il suo De Andrè a trasformarlo in poesia!
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Recensione di Silvia Focardi
Dopo venti anni ritroviamo l’arminuta. Ha studiato . Insegna all’università di Grenoble.
Ha una dolorosa rottura matrimoniale alle spalle.
La malattia della madre la costringe a tornare in Abruzzo.
Vari piani narrativi si intrecciano e la protagonista vive gli avvenimenti del presente ripensando agli anni trascorsi.
Riemerge il difficile rapporto con la famiglia d’origine, con cui, unica tra i fratelli, nonostante l’abbandono iniziale, mantiene qualche rapporto, accorrendo, lei sola, per assistere la madre malata.
Tutta la trama gira attorno al rapporto tra le due sorelle, orfane, anche se in modo diverso, dell’amore della madre.
La protagonista che cerca di crearsi una vita lontano dal luogo dove ha sofferto molteplici abbandoni ( “ C’era qualcosa in me che chiamava gli abbandoni” ) e Adriana che nei momenti di bisogno non si fa scrupolo di invadere con prepotenza la vita della sorella.
Tema che non è una novità, basti pensare al rapporto tra Elena e Lila de “ L’amica geniale” della Ferrante.
Si ritrovano esattamente gli stessi meccanismi. Persino il matrimonio con un ragazzo di un ceto superiore o la malattia della madre…
Unica novità un marito omosessuale che sembra quasi una concessione ai tempi.
Tanto “ L’arminuta “ colpiva per l’originalità tanto questo romanzo percorre strade già ampiamente viste.
Più interessante è l’approfondimento del carattere della protagonista che risulta così profondamente segnata da quel rifiuto iniziale da parte della madre,da non avere la forza di prendere definitivamente in mano la propria vita.
Il linguaggio è molto semplice con inserimento di espressioni dialettali che rendono più realistico il racconto.
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Recensione di Beppe Orlando
“Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate,”
Terminava così l’Arminuta, la storia di una bambina che viene cresciuta dalla cugina del padre e che poi a tredici anni viene “restituita” ai genitori e al loro mondo fatto di estrema povertà, di ignoranza e mancanza di affetto: “Ero l’arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza.”
In Borgo Sud l’autrice riprende le fila della storia. Sono passati trent’anni e l’Arminuta, voce narrante, si è trasferita in Francia ed insegna all’università di Grenoble. Una telefonata dall’ Italia e poche parole in dialetto, gravi nella loro urgente sintesi: “Devi venire subito a qua”, la catapulteranno, in una sorta di viaggio a ritroso nel tempo, in un mondo di affetti mancati o malriposti e di dolorose scoperte, i cui echi si erano sopiti da tempo e dai quali era fuggita tanti anni prima.
Ma soprattutto, dovrà fare i conti con quanto di più prezioso ha al mondo e che rischia di perdere definitivamente.
Trascinata dalla telefonata sull’orlo del precipizio, l’Arminuta inizierà a sfogliare un toccante e terapeutico album dei ricordi: “la mia memoria non si stanca, restituisce ricordi alla rinfusa, è un’ ebollizione sfuggita al controllo”
Rivivrà così il periodo più difficile della sua vita iniziato il giorno in cui Adriana sua sorella, che non vedeva da tempo e con la quale esiste un legame quasi primordiale, entra prepotentemente nella sua vita ed in quella di Piero, suo marito, portando con se un bambino di pochi mesi: “non immaginavo la rivoluzione che stava per cominciare se l’avessi prevista li avrei forse lasciati fuori,…se non fosse arrivata, chissá, tutto il resto non sarebbe accaduto….”
Speranze, delusioni e verità inconfessabili vengono rievocate nell’estremo tentativo
di dare un senso a quello che ha vissuto e che sta vivendo: all’amore materno negatole dalla nascita e incapace a manifestarsi anche dopo, a quello di una vita, che non le spettava, alla ricerca perenne di una identità: “il ricordo è una forma di recriminazione, è il perdono che non trovo”.
Ricordi raccontati con un sentimento profondo come quello che prova per Adriana, così conflittualmente diversa da lei, eppure così necessaria. Un rapporto nato quando a tredici anni è costretta a cambiare madre e casa, a rinunciare ad una vita perfetta dove si sentiva amata, per ritornare dove l’amore era una lingua sconosciuta e lei solo una bocca in più da sfamare e dove non sarebbe sopravvissuta se non fosse stato per quella bambina di tre anni più piccola, con la quale divideva il letto e non solo.
E adesso la sua Adriana, la sua ancora di salvezza, così ancestralmente legata ad ogni costo alla sua terra e al suo mare, la sua Adriana così selvaggiamente priva di regole se non quelle della pura sopravvivenza, la sua Adriana che proprio grazie alla forza interiore è riuscita a sopravvivere ad un’infanzia priva di tutto, ha bisogno di lei e lei è lì nella speranza che tutto sia ancora possibile, che il destino non la privi di quello che ha sempre cercato e che ora sa finalmente di aver trovato.
Pagine che anche quando ci raccontano dell’incapacità di amare risuonano di un amore profondo e di un altrettanto profondo attaccamento alla vita, alle proprie origini e alle proprie radici. Amore che diventa esso stesso fondamento della nostra identità, la prima e indispensabile pagina della nostra storia.