Paolo Milone.
Nato a Genova.Psichiatra. Ha lavorato in un Centro Salute Mentale e in un reparto ospedaliero di terapia d’urgenza. Questo è il suo primo libro.
Recensione di Beppe Orlando
Sullo sfondo di una Genova città vecchia che sembra fatta apposta, ed alla quale sono dedicate alcune pagine indimenticabili, l’autore ci apre le porte di un mondo sconosciuto al riparo dentro quei “grattacieli del medioevo” e “dietro porte che si aprono sui gradini e non portano infisso numero né nome” e che si anima solo quando l’estate svuota la città e allora “vecchie persiane chiuse da mesi si riaprono, stanze buie da mesi si illuminano, dimenticate serrature cigolano e Gino, Elisa, Enzo e gli altri prendono coraggio, aprono le porte e scendono in strada”.
Un mondo storto fatto di povertà e solitudine, una zona grigia che sfocia facilmente in disagio e malattie mentali: “ I matti sono nostri fratelli, la differenza tra noi e loro è un tiro di dadi riuscito bene, l’ultimo di un milione di uguali”.
L’arte di legare le persone, è la storia di un’avventura professionale ed umana , quella dell’autore, psichiatra di professione, ora in pensione, che “ avendo fuggito ogni altro lavoro per paura, si è ritrovato a fare il lavoro che fa più paura a tutti” .
In una sorta di diario, l’autore dialoga ora con se stesso ora con pazienti o colleghi componendo piccole ma preziose pagine, che hanno la forma e l’intensità espressiva della poesia, quasi a rimarcare l’inutilità di tante parole per compenetrare un mondo fatto di silenzi.
Ci racconta della fatica, delle sconfitte, delle proprie debolezze e paure , ma anche della bellezza dei giorni dedicati ai suoi malati, della passione che lo anima nel trovare quel legame vitale e necessario a lui come ai suoi pazienti.
Ed è in quel legame il senso ultimo del libro, che troviamo già nel titolo volutamente ambiguo:
“Se mi chiedete un’immagine simbolica della Psichiatria d’urgenza, è proprio il contenere,
il riunire frammenti spezzati fra loro,
mettere insieme mente e corpo, riunificare la persona.
come un gesso rinsalda le ossa
far di pezzi, uno.
Un libro emozionante, dalle cui pagine sale una musicalità particolare, un’armonia del pensiero e dell’anima che diventano antidoto alla paura e al rifiuto di una realtà che ci riguarda molto da vicino e che da oggi possiamo guardare con occhi diversi.
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Recensione di Chiara Sarasini
“Avendo fuggito ogni altro lavoro per paura, mi ritrovo a fare il lavoro che fa più paura a tutti”, dice di sé l’autore, voce narrante, prima di ogni altra parola.
Ognuno dei dieci capitoli del libro è suddiviso in frammenti numerati. Il lettore entra così in punta di piedi nel mondo di un reparto di psichiatria. Leggendo un frammento dopo l’altro ricostruisce il dolore e le sofferenze delle persone, le riflessioni, le scelte ed il mestiere dello psichiatra e degli infermieri, l’apprendistato di Marcello, lo specializzando. I frammenti sono accostati fra loro senza rispetto dello sviluppo cronologico, piuttosto attratti da assonanze, da sensazioni e squarci poetici.
“Laura, vieni da me soltanto per dirmi che non vuoi venire, e questa è l’ultima volta che vieni. Vieni sempre, la più puntuale fra tutte le pazienti. Vieni sempre per dirmi che non verrai mai.” frammento 9 pg. 30.
“Non è cattivo chi lega, legare è faticoso. E’ cattivo chi abbandona il paziente.” frammento 16 pg. 148.
“L’arte di legare le persone. Legare le persone al letto. Legare le persone a te. Legare le persone alla realtà. Legare le persone a se stesse. Legare le persone è un’arte. Inconoscibile.” frammento 41 pg. 160.
Ed infine: “Tu, che resti, sii gentile: avvisami quando Giulia inizia a parlare. Avvisami quando Emilio non ride più. Avvisami quando Filippo non sente più le voci. Avvisami quando Tommaso esce di casa. Avvisami quando Lucrezia torna dal posto in cui si è andata a cacciare. Basta un sorriso annuendo col capo. Io capirò.” frammento 12 pg. 191.
Una particolare forma di auto fiction novel, efficace e capace di coinvolgere il lettore.
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Recensione di Elisabetta Robbiano
I libri belli lasciano belle sensazioni, emozioni che ritornano alla mente e che è piacevole accarezzare nell’attesa di riprendere la lettura. Il libro di Paolo Milone è uno di questi. Viene voglia di ripensarlo e ripercorrerlo, di rivivere le sensazioni che produce.
È un libro che si legge bene. Pur nello strazio di ciò che racconta, sembra quasi leggero, semplice. Quasi poetico. Uno spaccato tragico raccontato con profondità ed intensità, senza infierire sul lettore.
E’ un libro ricco di umanità, senso del limite, riflessioni filosofiche, violenza, contraddizioni, errori, di stupidità umana… Si riflette sulla vita, sulla morte, sui suicidi.
Ma si ride persino: la ciabatta spaiata, i carabinieri e il ricovero della vecchietta, l’inseguimento in zoccoli per i vicoli della città…
Ho intuito molta esperienza, molto realismo… L’autore sembra abbia voluto sbarazzarsi presto della psichiatria ideologica, le grandi idee e i pochi fatti, così poco tarata alla Psichiatria d’urgenza, da sempre assai poco indagata…
Nella seconda parte del libro mi è sembrato di percepire un lieve “cambio di tono”: ma forse sono le emozioni che mi hanno accompagnato nella lettura. Mi hanno colpito le azioni di contenimento: la necessità di intervento fisico prima che verbale… il passaggio alla lotta corpo a corpo per permettere di veicolare i messaggi che altrimenti molti pazienti non sarebbero in grado di recepire.
Contenimento per iniziare a curare…
Anche i bambini hanno bisogno di contenimento, soprattutto se spaventati. Li si stringe forte.
In ogni caso, una parte di me ne è profondamente affranta.
In alcuni passaggi del libro ho un po’ sorriso: i disturbi patologici in base al tipo di scarpe indossate, ai vestiti, all’odore, al silenzio o al rumore o fracasso, alla distanza…
Ma il lavoro terapeutico emerge sempre, con tutta la sua complessità e fatica, nel bene e nel male, ricco di coinvolgimento come di momenti di distrazione: è il percorso che funziona, non i singoli momenti.
L’autore è onesto, critico, ironico, pragmatico e realista. E non è un poeta. Come scrive l’autore: la poesia non frequenta la psichiatria, si ferma sulla soglia…
Ma forse la aiuta.
E il libro è poesia.
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Recensione di Giuseppina Filippi
Lucrezia, Fabio, Lia, Ludovica….
abitano le nostre case, i nostri condomini, i nostri quartieri
Sono quelli che frettolosamente salutiamo,sfioriamo, scansiamo
Quelli che non riconosciamo,
quelli di cui qualche volta ci innamoriamo
Quelli cheperdiamo di vista,
quelli che consegniamo (scarichiamo?) a pezzi perché ci vengano restituiti interi
incomprensibilial nostro mondo di certezze.
Quanta umanità, disperazione, vita,
urla e pianti muti
nel Reparto 77.
In via dei Matti, numero 0
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Recensione di Silvia Focardi
Già l’incipit invoglia alla lettura.
È un susseguirsi di emozioni: si passa dal sorriso, al riso, al groppo in gola….
Ci si ritrova immersi in un mondo, in generale visto da lontano, ma,
con le parole di Paolo Milone, così essenziali, ci ritroviamo a partecipare alla vita, al dolore, alla follia dei protagonisti. I medici, gli infermieri, i pazienti, con poche pennellate sono vivi davanti ai nostri occhi.
È uno sguardo sul mondo che arricchisce.
La lettura produce uno stato di profonda empatia. È un libro autentico.
Paolo Milone è ironico, auto ironico, spiritoso, estremamente efficace e specialmente sincero.
Ogni pagina è intrisa di dolore e nello stesso tempo tutto questo dolore è detto con così tanta poesia che si resta senza respiro…