Bompiani 2021

Autrice: Giulia Caminito

“L’acqua del lago non è mai dolce”

 

Scheda di lettura di Giuseppina Filippi

Scheda di lettura di Bruna Di Stefano

Scheda di lettura di Alberto Ariccio

Scheda di lettura di Daniela Sciarri

Scheda di valutazione di Daniela Sciarri

Scheda di valutazione di Anna Morielli

 

 

Recensione di Alberto Ariccio

Antonia ha una famiglia difficile: quattro figli ed un marito sulla sedia a rotelle. Antonia non ha una casa e neanche un lavoro. Con qualche astuzia, mille sacrifici e molta fatica, trova una casa ed ogni giorno il necessario per la sua famiglia. La casa è ad Anguillara, nell’hinterland di Roma. Il lavoro, sembra di capire, è quello di colf in nero per le famiglie della zona.

Ma non ha tempo per fare altro.
Fino a trasformarsi in una specie di automa insensibile, senza empatia, che tutto ottimizza. Cuce, cucina, rammenda, spazza, fa i lavori e si rompe la schiena nella propria e nelle altrui famiglie. Recupera oggetti che non potrebbe comprare, e come una formica operosa li porta a casa.
Ha poche regole di sopravvivenza che segue e fa seguire con severità.
Così i figli crescono succubi o ribelli. Senza mediazioni. Incapaci di comprendere e controllare le proprie emozioni, che esplodono, spesso all’improvviso, incontrollate.
Così è la protagonista, l’io narrante. Non sembra avere un nome. O almeno nessuno sembra mai pronunciarlo. È intelligente, studiosa, ha dei talenti. Senza particolare entusiasmo e accettazione studia fino all’università, seguendo sostanzialmente la strada che la madre ha scelto per lei. Ma nello stesso tempo vorrebbe deragliare, uscire dai binari, e così, ogni tanto, impazzisce, perde il controllo, va fuori di testa.
Intanto il tempo scorre inesorabile: i lunghi viaggi giornalieri per andare a scuola, le amiche, i fidanzati, le estati sul lago, le serate in discoteca, la festa dei diciotto anni, con un continuo, estenuante, ossessivo senso di inadeguatezza, di frustrazione, di attesa, quasi di
agonia, che esplodono quando scopre l’inaffidabilità del fidanzatino e, forse, a quel punto, del mondo intero.
Fino all’esito finale, sospeso fra teatro e poesia, in cui, dopo aver capito che l’acqua del lago di Bracciano alimenta l’acquedotto di Roma, decide di restituirle la libertà aprendo tutti i rubinetti ed allagando la casa romana nella quale nel frattempo è tornata ad abitare.

L’uso dell’io narrante ci permette di seguire “in diretta” nei più profondi recessi mentali, i pensieri labirintici della protagonista, le difficoltà emotive nei rapporti con i coetanei, la sua ossessione per le cose e gli oggetti che non ha, e vorrebbe avere. Le delusioni, le rabbie improvvise, gli scarsi entusiasmi, il costante pervasivo senso di inadeguatezza, che in un primo tempo pensiamo di poter attribuire alle incertezze dell’adolescenza, complicate dall’indigenza economica e dal pessimo rapporto con la madre, ma di cui alla fine perdiamo un po’ la logica e le motivazioni.

Certamente il disagio familiare non genera necessariamente adolescenti che danno fuoco all’auto del fidanzato fedifrago o cercano di annegare la rivale in amore, ma talvolta può diventare un grosso ostacolo. Una barriera insormontabile per la comprensione di se stessi, delle proprie attitudini e di quale possa essere il proprio ruolo nel mondo, fino al limite dell’eccesso caratteriale, dell’anaffettività e del disagio mentale.

Anche il controllo dei sentimenti, l’educazione emotiva, la comprensione degli affetti, sembra di capire, non sono risorse a basso costo. Spesso hanno un prezzo alto e possono diventare un lusso che non tutti si possono permettere di pagare.

 

Recensione di Giuseppina Filippi

I romanzi di formazione sono un genere piuttosto abusato, per cui narrare di solitudine e  furia  adolescenziali  rischia la noia. Aiuta a evitare una storia troppo scontata la figura della madre, Antonia, che non soccombe a  rabbia e disagio incanalandoli in forza, rigore, severità estrema, spinta ad andare avanti. E lei è il  personaggio più complesso e meglio costruito. La protagonista  invece, ancora incapace di governare la sua ribellione e superare il suo senso di inadeguatezza, si muove in situazioni piuttosto scontate. L’acqua del lago la rispecchia, dolce in alcune serene notti estive, quando amore e amicizia sembrano essere la risposta al malessere di vivere. Torbida , infida, limacciosa quando riflette il lato oscuro, l’istinto vendicativo, l’insofferenza.

Come tutti gli adolescenti, Gaia vuole cambiare le cose, reagire , emergere. Ma è una storia di periferia. E nelle periferie le vite degli adolescenti sono più difficili.

 

Recensione di Beppe Orlando

Mia madre allora siede per terra a gambe incrociate, il vestito di lino le sale sulle cosce bianche, le mani sopra la testa e dice: io sono qui, sono qui per la mia casa. Loro la sollevano per braccia e gambe, la camicetta si apre e mostra un reggiseno senza ferretto, seni gonfi, la gonna si strappa e spuntano le sue mutande, mia madre scalcia e grida come fiera spietata E io è come fossi lì a guardarla, la giudico e non la perdono.” Nell’incipit del romanzo di Giulia Caminito c’è tutta l’ambivalenza del legame di Gaia con la madre, simbolo di resilienza e  vera ancora di salvezza ma  al tempo stesso memento dello stigma, ambivalenza di un’osmosi che costituirà il motivo conduttore della storia. 

Sarà proprio questa sfrontatezza, l’esposizione della loro specifica nudità, uno stato di privazione ribadito costantemente e che diventerà la matrice della loro quotidianità anche quando riescono ad ottenere l’assegnazione di una casa più grande e successivamente trasferirsi in una piccola città sulle rive del lago di Bracciano, a plasmare il carattere di Gaia. 

In quelle acque che non le saranno mai dolci, Gaia vivrà sulla propria pelle le difficoltà di un processo di integrazione ed accettazione, aggravato da quel senso di inadeguatezza che l’accompagnerà sempre come un’ombra rivelandosi alla fine l’unico compagno fedele e sarà qui che conoscerà un moto dell’anima fino ad allora sconosciuto, una rabbia che  sublimerà  in abnegazione allo studio, alla ricerca di un’eccellenza, di una nuova diversità in grado di annullare il gap di partenza, ma che rimarrà sempre sotto traccia, rischiando così  di travolgerla definitivamente.

In queste belle pagine caratterizzate da una scrittura libera e feroce capace di andare in profondità e portare alla luce l’intrico di paure, speranze, vergogne e ambizioni tradite di un’adolescente e poi giovane donna che come tante e tanti oggi, si sente bloccata e sdoppiata in quel treno di illusioni destinate a rimanere tali  o in perenne attesa di un treno sul quale salire, leggiamo la storia di un destino già scritto, dei coraggiosi tentativi di sottrarsi ad esso e di un riscatto tradito da un patto sociale non mantenuto 

Una storia di povertà e di umiliazioni ma anche  di estrema dignità. La dignità ribelle e rivendicativa della madre Antonia alla quale fa da contraltare quella declinata nell’adesione al canone dei doveri familiari e sociali di Gaia, personalissimo antidoto al veleno autodistruttivo di una rabbia vero e proprio alter ego di sé.

Una storia amara che mette in scena la cifra del nostro tempo: la precarietà. 

Precarietà che è privazione. Precarietà che è portare il marchio della diversità.  Precarietà che è abbassare l’asticella dei sentimenti.  Precarietà che ti fa credere infine di meritare tutto questo.

 

 

Recensione di Rinaldo Virla

Gaia cresce sballottata tra Roma e Il lago do Bracciano, vittima delle scelte sbagliate di Antonia, sua madre, che la costringe a una vita misera in una famiglia squallida. Nessuna delle due accetta questa situazione ma, mentre la madre reagisce combattendo con orgoglio, la figlia patisce la mancanza di tutte le cose che hanno i suoi amici accumulando rancore verso di lei.

In questo libro Giulia Caminito racconta una generazione, la sua generazione, interessata più all’avere e all’apparire che all’ essere. La protagonista vive in questo contesto le esperienze tipiche di ogni adolescente, le amicizie, i primi amori e soprattutto i tradimenti che la porteranno ad azioni di vero teppismo.

Alla fine Gaia si troverà sola in compagnia del suo unico vero trofeo, un orsacchiotto di peluche.